Paolina ed i suoi collant

Paolina ed i suoi collant

Ogni tanto mi piace andare a fare la spesa in quei grossi ipermercati in cui si
trova di tutto e, con un po’ di fortuna, si risparmia, magari su cose inutili
che altrimenti non avrei mai comprato.
Stavo proprio guardando un paio d’anfibi neri in offerta speciale quando mi
sentii salutare
– Ciao! – mi volsi e vidi Paola che si avvicinava con un carrello.
– Ciao Paolina. Cosa ci fai qui? – domanda peraltro cretina
– ho approfittato della pausa per cercare un paio di jeans e un maglioncino
nuovo; e tu, niente università oggi?!
– no, vacanza, dato che non avevo proprio voglia di seguire. –
– Allora dai, se non hai niente d’urgente da fare, dammi un parere sui miei
acquisti.
Ho trovato questa gonna ma sono indecisa, mi sembra che mi segni troppo. – Va
bene, oggi faccio il critico di moda: vediamo. –
Ci avvicinammo ai camerini di prova e, mentre aspettavo che si cambiasse, da una
fessura laterale della tenda vidi che in quello di fianco c’era una bella
ragazza mora dai capelli lunghi e lisci che si stava svestendo per provare un
vestito.
Non stava facendo uno spogliarello, si è tolta i pantaloni neri velocemente,
arrotolandoli dato che erano molto aderenti e la camicetta bianca, buttando
tutto sullo sgabello: per un attimo è rimasta solo con le calze, trasparenti, e
la biancheria intima, di pizzo color avorio, che metteva ben in risalto l’ombra
scura dei capezzoli sul seno perfetto, non troppo grosso, e la peluria del pube.
Quella vista mi eccitava, non perché non avessi mai visto una donna spogliata,
ma perché non conoscevo quella ragazza, era stato un lampo dell’intimità di
un’altra persona.
Mentre s’infilava il vestito che aveva scelto, Paola uscì dal camerino
indossando una gonnellina color grigio fumo, a pieghe.
– stai benissimo, si abbina anche con il maglioncino chiaro che hai
su.
– va bene per questa, allora: mi fido – anzi, faccio che tenerla su.
Paola è una ragazza normalissima, con i capelli castani chiari, che con i colpi
di sole diventavano biondi, un po’ mossi.
Snella, alta poco meno di me (con i tacchi, che d’altronde non sono mai
altissimi) che sono 1,70.
Non si veste mai in modo provocante, quasi mai con la gonna o con roba scollata,
ma si vede che ha un corpo ben proporzionato, con una carnagione quasi lattea.
Pagammo i rispettivi acquisti ed uscimmo
– ti va di vedere dove lavoro?
– Sì, volentieri. Ora che sei il capo puoi fare quello che vuoi, non è vero? –
Lei rise.
– Vieni, saliamo. –
Ci addentrammo in un caos di scatole e arrivammo nel suo ufficio.
– Abbiamo appena traslocato e c’è un disordine che non ti dico, è ancora tutto
da sistemare, dovremo cambiare i mobili e finire la rete dei computer.
– però è bello, luminoso, anche se i quadri sono orribili. –
Alle pareti erano appese delle vedute paesaggistiche proprio orrende, dai colori
che stonavano l’uno con l’altro e con il resto del mondo.
Si siede alla scrivania, un grande tavolo di legno ingombro di carta, computer,
cavi ed altre cianfrusaglie.
– Com’è che non avete ancora collegato i computer?
– Dobbiamo aspettare il tecnico perché qui non c’è nessuno che ne
capisca qualcosa.
– Fammi vedere, forse posso farvi risparmiare qualche soldino e un po’ di tempo
– Mi chinai a guardare i cavi del computer e le connessioni, ma il mio sguardo fu
attratto dalle sue scarpe, nere, una delle quali aveva sfilato e che rimaneva
penzoloni sulla punta del piede.
Scherzosamente gliela feci cadere
– Ehi, dico, cosa capita là sotto? – disse ridendo, dato che le stavo facendo il
solletico al piede con le dita.
Lei cominciò ad agitarsi per sottrarsi a quel tormento mentre i miei occhi
salivano su per le sue gambe, prima accavallate e poi unite, con il piedino
rifugiato indietro sotto la sedia. Indossava un paio di collant neri sotto la
gonna, che in quel tumulto si era sollevata, ma il fatto che mi fece quasi
battere la testa sotto il tavolo era che non portava le mutandine, sotto.
Potevo ben vedere la peluria del pube attraverso il nylon, e, come in un sogno,
allungai una mano e le sfiorai il polpaccio.
Lei fece finta di niente, non si mosse. Io salii con la mano, lei e in un attimo
la accarezzavo attraverso le calze, sotto il tavolo.
Non si sentiva alcun rumore, lei era ferma, ma con le gambe leggermente
dischiuse.
La mia mano si insinuò tra esse ed una lieve sensazione d’umido cominciò a
deliziare le mie dita.
– basta – sussurrò, mentre la mia mano le sfiorava il clitoride eccitato.
– Zitta – e mi avvicinai sotto il tavolo, appoggiando la faccia tra le sue gambe
e cominciando a leccarla attraverso il nylon.
Lei intanto si era seduta sul bordo della sedia ed il suo bacino sussultava, ed
il respiro le cominciava a diventare affannoso.
Poi mi riscossi, pensando che potesse entrare qualcuno e, assaporando ancora un
attimo il suo dolcissimo sapore, mi rialzai, rosso congestionato e balbettai
– scusa, non so… scusa – lei mi guardò con uno sguardo che tradiva
l’eccitazione per le mie carezze ed anche sconcerto, perplessità, ma non disse
niente.
Cercai di ricompormi e mi volsi per andarmene in tutta fretta lontano dalle mie
tentazioni quando, alla porta, mi disse con voce tremante:
– ne parliamo alle sei e mezza, qui. – Uscii.
Nel pomeriggio vagai in un parco pubblico, ripensando a quello che era successo
e sentendomi in colpa di aver approfittato della mia amicizia con Paola,
d’averla indotta a cedere a quella che vedevo come una violenza al nostro
rapporto.
Finalmente, o purtroppo, giunse l’ora.
Mi avviai pieno di sensi di colpa verso il fatidico appuntamento. Suonai e mi
fece entrare, con atteggiamento impenetrabile.
A quell’ora l’ufficio era deserto, così potevamo parlare in pace. Mi sedetti di
fronte a lei.
– Paola…
– Non dire niente, non è colpa di nessuno…-
-Vieni qui – mi avvicinai a lei e la mia mano, senza nessun controllo, si
avvicinò al suo seno, accarezzandolo attraverso il maglione e poi sotto, a
contatto di pelle. Intanto lei si era stretta a me e rimaneva ad occhi chiusi,
immobile, con la testa leggermente piegata.
La mia mano scivolò giù sul suo ventre, accarezzando la coscia e poi su a
ritrovare il suo antro segreto.
Il cavallo delle calze era bagnato sotto le mie dita tremanti, che scivolavano
avanti e indietro eccitandola sempre di più.
La presi per le braccia e la feci sedere sulla sua scrivania, poi mi chinai
davanti a lei ed ammirai il suo pelo pubico castano e le labbra, rosse e
leggermente dischiuse come un bocciolo; anche il profumo sembrava quello di un
fiore, inebriante e pungente.
Paola mi appoggiò una mano sulla testa e delicatamente mi attirò a sé
– continua come oggi, ti prego.
Cominciai a passarle la lingua in mezzo alle gambe con foga, quasi con rabbia
per il gran desiderio represso, cercando con la punta di sfondare la barriera
rappresentata dalle calze, e nel frattempo la accarezzavo sul bottoncino con le
dita, volendo donarle un piacere immenso.
– ahhh, che bello – sospirò
– non smettere ora, leccami tutta, toccami, baciami. –
Con un dito ruppi il tessuto e delicatamente lo infilai in mezzo alle sue
secrezioni, toccando il suo clitoride, mentre la leccavo e cercavo di succhiare
tutto il suo nettare.
Ansimando sempre più forte e più velocemente lei ebbe un orgasmo fantastico,
serrando le gambe ed intrappolandomi con la bocca sulla sua vagina.
Poi si rilassò con la schiena sulla scrivania, appoggiata su bilanci e tabulati.

Io mi rialzai e stetti a guardarla, era così tenera e abbandonata, con la gonna
in disordine, gliela sistemai.
Ero eccitatissimo quando aggirata la scrivania mi avvicinai per darle un bacio
sulle labbra, il gonfiore dei pantaloni si vedeva e avevo difficoltà a
camminare.
Il bacio sembrò risvegliarla dal torpore in cui era, e pian piano si fece più
profondo, con le nostre lingue che si intrecciavano e le nostre salive
mescolate, con il suo sapore ancora presente e buonissimo.
– ora tocca a te, carino! – e così dicendo cominciò a sbottonarmi i pantaloni,
frugando con la mano estrasse il mio pene
inturgidito e se lo portò alle labbra, leccandolo e succhiandolo.
Mi sembrava di essere in lei, così calda e umida, e non tardai ad avvertire i
sintomi dell’orgasmo.
Mi ritirai da lei, sporcando con il getto parte della moquette.
Lei si rialzò e cominciò a togliersi i vestiti, rimanendo nuda nell’ufficio, poi
si sedette di fronte a me sulla poltrona girevole e con lo sguardo mi invitò a
guardarla, e poi a toccarla ancora.
Cominciai a farle un ditalino, delicatamente, mentre lei con le labbra e con la
lingua mi stuzzicava, assaporando il gusto delle poche gocce rimaste, e in breve
riacquistai vigore.
– Alzati – e la tirai in piedi, poi mi sedetti al suo posto e la feci risedere
sulle mie ginocchia, di schiena, infilandole lentamente il pene nella vagina
lubrificatissima.
Con le mani potevo accarezzarle il seno, i capezzoli, ed il clitoride,
eccitatissimo, cominciando a farla ballare su e giù.
Le percorsi le gambe con le mani, sentendo sotto le dita la sua pelle liscia e
serica, raggiunsi le caviglie e i piedi, cosa che la fece trasalire, poi la feci
alzare e, sempre dentro di lei, la feci appoggiare alla finestra, sulla tenda, e
continuai a muovermi dentro di lei, costringendola a stare in punta di piedi.
– adesso sdraiati – e ci mettemmo sul pavimento, con lei sopra che conduceva le
danze, ed io potevo vedere il suo sorriso mentre si muoveva sopra di me, come se
avesse l’intenzione di farmi impazzire
– Paola, sei un’amica fantastica, dissi ansimando per il piacere
– anche tu, anche tu… mmmhhhh.
– ora rilassati. –
Avemmo il secondo orgasmo insieme, ed io le inondai la vagina con un fiotto
caldo, che cominciò a colare fuori appena ci fummo separati.
Ci rivestimmo in silenzio, con un’aria complice e con due sorrisi larghissimi,
la baciai lievemente e ci salutammo.
Da allora siamo amici, ma non ci siamo più sfiorati neanche per un fuggevole
bacetto, ed entrambi sappiamo che è meglio così, e che serberemo il prezioso
ricordo di quel pomeriggio per tutta la vita, dentro di noi.
Ma ogni volta che la vado a trovare nel suo ufficio, noto la macchia sul
pavimento, come se si fosse versato qualcosa, magari del latte, e sorrido.

L’autore: cipcip@altavista.net

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